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Fare ricerca aiuta a “vedersi dal di fuori”

le ricerche qualitative aiutano le aziende a vedere con gli occhi dei propri clienti/consumatori

Quando mi viene chiesto a cosa serve il mio lavoro, ovvero condurre una ricerca di mercato qualitativa, le risposte potrebbero essere davvero tante, a seconda delle situazioni, del contesto, del tipo di azienda. Ma sempre più mi rendo conto che un motivo è valido per tutti, dalla piccolissima azienda alla multinazionale.

Fare ricerca significa indossare i panni altrui e vedere la propria realtà con occhi diversi, da un vertice osservativo nuovo, da un punto di vista che non è necessariamente quello che si credeva che fosse.

Più vado avanti, più mi rendo conto di come le aziende credano di sapere tutto. Realizzano loro i prodotti, conoscono perfettamente il mercato di riferimento, dunque chi meglio di loro può sapere tutto quanto? Ecco, questa è l’ottica comune, diffusa tra tutti (o quasi). Ma è proprio qui che nasce l’equivoco. Se l’azienda è perfettamente consapevole delle dinamiche di mercato, dei processi che portano alla produzione dei propri beni, delle caratteristiche dei propri prodotti… il consumatore nella maggior parte dei casi parte da un contesto, un livello di conoscenza, un background decisamente diverso.

Quanto più l’azienda dà per scontati una serie di passaggi, di aspetti e di punti di forza, tanto più il consumatore potrebbe essere influenzato da situazioni, elementi o passaggi non preventivabili, totalmente al di fuori delle logiche “interne”.  In questo senso, il mio ruolo (e quello di chi si occupa di ricerche qualitative) è quello di comprendere, “assorbire” quasi come una spugna e restituire all’azienda il modo di vivere, di pensare, di percepire il marchio/prodotto… Insomma, è necessario calarsi nei panni del consumatore, o meglio nei panni delle varie tipologie di consumatori/target, al fine di cogliere il loro modo di pensare il brand, il prodotto, il servizio.

Può sembrare banale, ma non lo è.

Questo è il motivo per cui molti clienti di aziende, dietro gli specchi unidirezionali delle sale dei focus group, iniziano in alcuni casi con un certo disappunto (“ma qui siamo fuori target, il nostro cliente non può ragionare così!”) per terminare poi con grande soddisfazione (“non avrei mai detto che la nostra clientela fosse così, questo ci è molto utile!”, “risultati molto interessanti, credo proprio che un monitoraggio del genere sia utile con cadenza regolare… ci serve per avere il polso della situazione!”)

A conferma di ciò, chiudo con una frase riportatami da un cliente, a fine focus group: “questo è un bagno di realtà!”.

Sì, la realtà che fino a qualche ora prima non avrebbero mai visto!

Pensieri sparsi sul mondo delle ricerche qualitative

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tempi

C’era una volta il debriefing. Oggi è tutto per subito. Che potrebbe essere troppo tardi.

sintesi

Anche gli istituti si stanno indirizzando verso approcci più schematici e sintetici. Finalmente. Forse in questi giorni ho scritto il mio ultimo report da 119 chart. Che forse a dirla tutta era anche il primo 😉

inglese

Sempre più fondamentale, ormai senza non si va da nessuna parte. Taken for granted.

opportunità

Sarò sintetico: quasi non ce ne sono, rispetto a quando ho iniziato, e correva l’anno 2000. Se per altro consideriamo che attraverso questo sito (dove non mi pare di presentarmi come un istituto!) ricevo in media 1 C.V. ogni paio di mesi… E comunque, se ci sono, vanno inventate. Altrimenti ciao.

video-centrismo

Da quando faccio video (anni), mi accorgo che è cambiato il mio modo di pensare. Moderi i focus e pensi alle scene/ai risultati chiave, è un modo diverso di ragionare, un supporto alla sintesi. Sintesi visiva e concettuale.

location cool

Contano, e tanto. In alcune strutture dove abitualmente (o meno) faccio gruppi/interviste, sia i clienti che gli intervistati entrano e scattano selfie, in ammirazione. E tutto questo serve anche per stabilire un clima positivo, informale.

aggiornamento professionale

Ammesso che nel nostro settore sia mai esistito, oggi si chiama social media. Come strumento e oggetto di analisi. #maipiùsenza, per chi fa il mio lavoro.

tempo libero

Sempre più un miraggio, soprattutto per chi come me fa il consulente, e deve stare alle ondate agli tsunami di carichi (anche last second) di lavoro.

Quando la ricerca qualitativa fa “ciak si gira”

col gobbo - andrealombardi.com

Giugno-luglio è tradizionalmente un periodo delirante, per chi si occupa di ricerca. Ed anche quest’anno… sto uscendo faticosamente indenne da una maratona fatta di ricerche, forum, focus, interviste, qualche trasferta, e poi… anche vari video 🙂

Già, a proposito… è successo qualcosa di interessante.

C’è un piccolo istituto (ricerca qualitativa) che sta da un po’ proponendosi in modo diverso… già mesi fa avevo partecipato, con altri colleghi, a un forum sul nostro lavoro (devo dire che mi è stato utile, personalmente), ma un mesetto fa mi hanno chiamato per realizzare un video. Si tratta di “un video per un nostro lavoro, nel senso che non è per un cliente, ma per noi”

All’inizio non ho capito molto, se non che avrei dovuto fare il montaggio di alcune storie, con attori.

Poi ho capito: un progetto curioso, che si pone in un’ottica assolutamente originale. Credo di non poter fornire molti dettagli, ma quel che posso dire è che mi sono anche divertito nel girare, e ho anche imparato molto (alla fine oltre al montaggio ho curato in parte la regia), e che ho come l’impressione che due risate ce la faremo tutti, nel settore… A me alcune delle storie che sto montando fanno ridere!

riprese - andrealombardi.com

riprese2 - andrealombardi.com

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Gli spot SKY come esempio di videoreport per le qualitative

Chi ha SKY si è di certo imbattuto, negli ultimi mesi, in qualcuno degli spot della campagna “10 anni di SKY”, in cui vengono intervistati vari personaggi (famosi e non). Spot che danno voce ai consumatori ma anche ai massimi esponenti dei vari “mondi” che la TV a pagamento rappresenta, vero esempio di storytelling, di etnografia (le interviste sono a domicilio, o almeno così lasciano pensare: dunque sono percepite come “vere”). Ognuno dà la sua risposta, argomentando del perché e del come SKY gli ha cambiato la vita.

Si tratta di un ottimo esempio di come strutturare al meglio un videoreport: i punti chiave delle interviste che vengono ripresi e condensati… quante volte ci rendiamo conto che dalle interviste, dai focus o dalle etnografiche vengono fuori quelle 10-15 frasi che vorremmo fermare, che riassumono alla perfezione i risultati di ricerca? Bene: SKY lo ha capito, o meglio, attraverso la finzione dello spot ci mostra “il succo” di quel che si pensa del brand…

Questo è quel che si può fare con i videoreport. PowerPoint ha i tempi contati 😉

Social Media Week Milan, 2013 – e i qualitativi dove sono?

la social week t-shirt

Sono giorni si social media week, a Milano: io sono lì o incollato allo streaming, consapevole del fatto che questo sia uno di quegli appuntamenti da non perdere, che ormai sta soppiantando altri appuntamenti invece che al confronto suonano più “vecchi”, quantomeno legati a logiche superate…
Una sola domanda: altri ricercatori/direttori di ricerca dal mondo del qualitativo, dove sono? Cosa fanno? Io per ora non ho incontrato nessuno 🙁
Ah beh… in effetti se alcuni istituti hanno Facebook blindato per logiche di produttività, è facile capire come alcuni mondi siano ancora molto distanti…
Scappo, l’evento WordPress mi aspetta!

Perché Google Plus diventerà rilevante (anche) per le ricerche qualitative

perché G+ diventerà fondamentale per chi fa ricerca qualitativa

E’ vero, da tutte le ricerche condotte abitualmente presso target non evoluti ma anche presso target avanzati (utilizzatori di tecnologie/smartphone) l’unico social network davvero conosciuto e utilizzato, in Italia, è Facebook.
Ma ciò non deve trarre in inganno. Si parla molto di Twitter, di recente, grazie anche alle incursioni dei politici che lo hanno definitivamente “scoperto” anche se viene usato più per ritorni mediatici (in TV) che non seguendone la sua vera anima, e dunque senza ottenerne reali benefici.
Ma c’è un terzo social che ad oggi appare davvero poco conosciuto a parte recenti iniziative di hangout con personaggi dello spettacolo/sport o con la recente campagna YouTube/La7/G+.
Ma c’è una questione che deve far riflettere noi qualitativi, e in genere chi si occupa del mondo di ricerca. Di recente il web sta diventando sempre di più un canale prezioso per acquisire una parte di conoscenza dei target e delle abitudini di consumo/dell’analisi degli stili di vita. Tra le competenze del ricercatore qualitativo si aggiunge la netnografiadi cui mi occupo sempre più– e di conseguenza… quali sono i social che meglio permettono di ottenere preziosi risultati, in proposito?
In questo momento Twitter, in futuro -c’è da scommetterci- Google Plus.
Dalla immagine allegata al post è facile intuirne il motivo, senza dimenticare che la ricerca on-line (Google e g+ inclusi, ovviamente!) è sempre più social-oriented.

La rivoluzione dei social media – Social media marketing revolution

Immagine anteprima YouTube

Molti i motivi per cui questo video ben illustra come mai i social media hanno ormai attuato una vera e propria rivoluzione nel modo di comunicare, pensare, consumare:
– innanzitutto, i social media non hanno a che fare con le tecnologie, ma… con la realtà
– riguardano relazioni vere con persone vere
– ciò avrà sempre più rilievo, per via dei nativi digitali e dell’incremento della popolazione digitally connected
– ciò che si fa sui social media impatta sempre più su ciò che si fa al di fuori dei social media e della rete
– non esiste ormai solo Google, ma Facebook e YouTube stanno diventando centrali anche grazie all’utilizzo del mobile e della geolocalizzazione
– per i nativi digitali, la casella di posta elettronica suona ormai come qualcosa di vecchio
– il video sta divenendo sempre più il canale privilegiato per fruire dei contenuti (info-tainment), e YouTube è oggi il secondo motore di ricerca più usato, dopo Google

Ed ecco allora perché le ricerche qualitative non possono prescindere dai social media:
– in primis, perché i social media non sono circoscritti alla dimensione tecnologica, ma sono (una parte sempre più grande della) realtà
le aziende, i brand e i prodotti non devono chiedersi se essere presenti, ma come essere presenti nel modo migliore (dove migliore significa in linea con le attese del target, in linea con i valori del brand, coerenti con la specificità del mezzo)
– il word of mouth assume sempre più significato tra i consumatori/creatori dei contenuti (grazie agli user generated contents) ed è compito di noi qualitativi analizzare il word of mouse
– il ROI è oggi sostituito dal ROA (return on attention), e i social media permettono di fare branding come nessun altro canale/strumento

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This video points out how social media have made such a revolution about the way we think, we act as customers, we relate to each other:
– first, they are not about technology, but they are about reality, real life
– thanks to social media we interact with real people: it’s not just a virtual relationship
– it’s going to be much more relevant, thanks to digital natives
– what people make on social media is strictly connected with what they make off-line
– younger people consider the e-mail accounts as something “old/passed”
– video-streaming is becoming the preferred way to live the web experience, and that’s why YouTube is now the second search engine (after Google)

Thus, qualitative research have to consider the impact of social media inside their methodologies and approach:
– social media are real life, real customers act
– brands, products and companies are “forced” be on the social media, and they have to consider which is the best way they have to interact with people according to their core values and objectives
– word of mouth is becoming really relevant, so as qualitative researchers we have to explore the word of mouse
– the ROI has been substituted by the ROA (return on attention): social media are a really good way to make branding

Kitchen stories – il manifesto della (non) etnografia?

Ricordo bene quando -ormai quasi dieci anni fa- andai al cinema a vedere “Kitchen Stories“, film svedese certamente non famosissimo, ma di un fascino tutto particolare. Lavoravo da alcuni anni come ricercatore qualitativo, ed avevo iniziato da poco a occuparmi di etnografia. Ed ecco che mi imbatto in questo a dir poco assurdo e provocatorio “ritratto dell’etnografo”: i sociologici che, dall’alto dei loro seggioloni da arbitro di tennis- studiano il comportamento della persona nella sua cucina, teoricamente senza influenzarne nessun gesto.
Che meraviglia.
Il manifesto della incomunicabilità, anzi della assoluta necessità di comunicare, del taylorismo-che-non-funziona se applicato a etnografia, sociologia e antropologia. Il rilevatore che si annota su bloc notes tutti i movimenti, con approccio scientifico, credendoci, studiando, applicandosi. Il rilevatore che trascorre giorni nel suo compito di etnografo, diventando parte dell’arredamento della casa, teoricamente neutrale, trasparente, imbalsamato. Chissà che lettera di incarico, chissà che diaria da trasferta (ma almeno risparmiavano sull’albergo, visto che erano anche dotati di roulotte).
Un film tutto da ridere nella sua estenuante lentezza, ma che apre incredibili risvolti e chiavi di lettura per chi -come me- si occupa di qualitative, etnografia, marketing e comunicazione. Da non perdere, da scaricare (ops) comprare 🙂